Questa pagina nasce dalla voglia di rendere le persone consapevoli, autonome, è una pagina dedicata a chi ha voglia di cercare le soluzioni migliori per se stessi, senza per forza affidare ad altri sempre la tutela della propria salute.
Noi in questo crediamo molto, il fatto che l’attività fisica faccia bene ormai sembra quasi un luogo comune, ma non è così. In molte situazioni l’attività fisica vale più di una medicina, pensiamo al ruolo dell’attività fisica nei diabetici ad esempio, provate a chiedere ad una ragazza diabetica quanto vari la sua necessità di insulina in base allo sport. O chiedete ad un atleta di endurance (corsa, maratona) come si sentirebbe a livello mentale e fisico se per qualche ragione gli si chiedesse di smettere improvvisamente di correre?! (Ad esempio per una quarantena da Covid 19)
Lo sport è terapia!
Ma ogni sport va bene per supportare e migliorare il nostro dolore?
Partiamo dalla base spiegando cosa sia un dolore cronico e accennando il tema della ‘sensibilizzazione centrale del dolore’.
Un dolore viene definito cronico se perdura o si ripresenta per mesi o anni.
Il paziente ti riferisce ad esempio di soffrire di mal di schiena da anni, ogni 3 mesi ha un attacco acuto che lo obbliga a cicli di miorilassanti e cortisonici.
Mentre nel dolore acuto si ha un dolore solitamente localizzato che tende a ridursi con la guarigione ed è l’espressione della lesione di un tessuto (trauma, intervento chirurgico, patologia infiammatoria), nel dolore cronico la correlazione tra danno ai tessuti e sintomo (dolore) non è così evidente, anzi a volte manca del tutto.
Il dolore cronico può rendere il nostro sistema nervoso più sensibile, più attivo (troppo attivo) e questo determina una risposta dolorifica amplificata rispetto allo stimolo nocicettivo (cioè rispetto allo stimolo che provoca un dolore). In pratica sentirete dolore in seguito a stimoli che di solito non ne provocano o li percepirete con più intensità.
In riabilitazione si fa riferimento al modello biopsicosociale, cosa significa?
È un approccio che non tiene conto solo delle variabili BIOlogiche, quindi al danno di un organo/tessuto, ma anche dei fattori PSICOlogici e SOCIALI (famiglia, lavoro ecc).
Il dolore cronico ha un impatto economico e sociale elevatissimo, ed il dolore cronico di tipo muscolo scheletrico è tra i più diffusi (come la nostra conosciutissima lombalgia , cioè dolore alla zona lombare della colonna).
Attività fisica ed esercizio fisico sono ampiamente riconosciuti dalla letteratura come potente arma per il controllo del dolore cronico.
Qui entra in gioco il vero professionista.
Abbiamo detto che il dolore cronico risente moltissimo di influenze dalla componente affettiva, relazionale…è influenzato dalle nostre esperienze passate con altri dolori pregressi, dallo stress, dall’ansia e dalla moltitudine di specialisti e di diagnosi che abbiamo ricevuto.
Continuare a girare da uno specialista all’altro, da un esame all’altro a chi non metterebbe ansia?
Questo genera un meccanismo di paura, di difesa, una paura di muoversi data da frasi che amici (o peggio professionisti) pronunciano pensando di farci del bene ma che in realtà sortiscono l’effetto contrario.
Frasi come ‘ la tua schiena è un disastro’, ‘devi camminare solo piano’, ‘se hai male alla schiena puoi solo nuotare’, ‘se hai una diastasi non puoi più fare addominali’…ecco queste frasi senza contesto piano piano, piano piano…ci fanno sentire sempre più malati.
Il nostro cervello integra ogni segnale, siamo macchine complesse!
Se sei una persona che sta seduta tutto il giorno davanti ad un computer ed io, fisioterapista, ti dicessi che ‘per stare bene non puoi assolutamente andare in bicicletta’…tu mi crederesti?
Probabilmente si!
La bicicletta in effetti potrebbe riprodurre la posizione ‘viziata’ che assumi già tutti i giorni durante il lavoro, quindi è la attività più corretta per te?
Probabilmente no, dico probabilmente perché non ti conosco, non ti ho valutato, non ti ho ascoltato. Ma indicativamente direi di no.
Analizziamo queste due affermazioni e pensiamo che effetto diverso possano determinare in chi le ascolta.
1 – ‘La bicicletta non è l’attività più adeguata in questo preciso momento della tua vita’
2 – ‘per star bene non puoi assolutamente andare in bicicletta’
Se andare in bici non ti piace il problema neanche si pone; ma se invece una bella pedalata fosse ciò che più ti piace fare e non andare in bici ti rendesse in realtà più ansioso riguardo alla tua condizione di salute?
Allora io è li che voglio arrivare, alla tua soddisfazione, a cercare di riportarti (magari con qualche compromesso) a riandare in bici e, questo, inevitabilmente avrà ripercussioni positive sul tuo dolore.
Se analizzando bene la tua storia ed i tuoi esami non esistono ‘bandiere rosse’, cioè controindicazioni assolute, allora la bici io vorrei davvero tanto che tu tornassi a farla, cercando di guidarti con gradualità.
La fisioterapia non è bianco o nero e deve tenere conto di ciò che ti piace e ti fa stare bene.
Ma quindi cosa posso fare se ho mal di schiena molto spesso e mi sono stufato di farmi manipolare ogni volta per cercare sollievo? Lo chiedono spesso i pazienti con un po’ di frustrazione. (E credeteci quando vi diciamo che la lotta al dolore cronico è spesso frustrante, sia per il paziente che per noi operatori manuali).
Devi capire come cambiare il tuo approccio alla quotidianità, devi capire quale attività può darti sollievo e magari integrarla al tuo sport preferito.
Educazione e conoscenza sono due potenti cavalli di battaglia e dobbiamo sfruttarli.
E la terapia manuale?
Spesso è imprescindibile all’inizio di un percorso riabilitativo, è utilissima, rientra nel cardine della fisioterapia.
Ma ormai è assodato che l’attività fisica corretta, sicura e motivante eseguita dopo un lavoro manuale o anche in assenza di esso, permetta il mantenimento dei risultati ottenuti consentendoti di diradare maggiormente le sedute tra una terapia manuale e l’altra (tipo massaggi, manipolazioni) e di avere più controllo in modo indipendente del tuo dolore cronico, anche nel lungo periodo.
In conclusione vorremmo lasciare un messaggio sia ai pazienti che ai professionisti del settore.
Ai primi vorremmo dire di ascoltarsi, di non sottovalutare la parte emotiva e di cercare di capire anche da soli se la paura di muoversi stia prendendo il sopravvento (per poter scegliere di farsi aiutare da professioni che sappiano rassicurarvi ed offrirvi soluzioni reali).
Ai secondi, professionisti di ogni genere in ambito medico, di prestare attenzione a queste tematiche, di non cadere negli assolutismi se non necessari e di fare attenzione alle parole.
Scrivere questo articolo lo ha ricordato anche a noi stesse.